I Vignaioli della FIVI “in mostra” nel Parco dell’Appia Antica

“Siamo  aziende verticali, gestiamo direttamente tutte le fasi della produzione dalla vigna alla bottiglia”.

Così gli oltre 30 vignaioli del Lazio, con una rappresentanza di vignaioli di altre regioni, hanno presentato l’evento organizzato dalla Delegazione Lazio della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), svoltosi il 25 marzo a Roma presso la Ex Cartiera Latina all’ingresso del Parco dell’Appia Antica.

“Noi  vignaioli coltiviamo solo la nostra uva e imbottigliamo il nostro vino”, assicurano  dalla Fivi: “Seguiamo direttamente tutte le fasi della produzione dalla vigna alla bottiglia. Siamo custodi e promotori del nostro territorio, difendiamo il paesaggio. Noi ci mettiamo la faccia, il consumatore può venire a trovarci, conoscerci e così diventare co-produttore, comprando responsabilmente”.

E ’ proprio il caso di dire dal produttore al consumatore: succede, ad esempio, con la Cantina del Tufaio, dove l’intraprendente Nicoletta, ultima delle sei generazioni  dell’azienda di famiglia, organizza ogni settimana eventi in cantina dalle sfumature  originali proprio perché legati ad un territorio ben preciso e amato in ogni sua declinazione, a partire dagli abbinamenti tra cibo e vino.

Lei sperimenta, suo padre Claudio porta avanti la tradizione con vini come il Tufaio Brut, uno  spumante metodo classico pas dosé,  ottenuto da malvasia del Lazio, pinot bianco e chardonnay, o il Tufaio Bianco da malvasia del Lazio al 60%, grechetto 20%, sauvignon e trebbiano giallo.

C’è poi un sauvignon in purezza dal nome  “anNiké”,  dedicato proprio alla figlia Nicoletta,  l’AmmiRose, un rosato metodo classico pas dosé  da uve merlot in purezza.
Due i rossi: il Casale Tiberio, da uve merlot all’80% e cabernet sauvignon 20%; l’amMarìa, ottenuto da cabernet sauvignon in purezza e dedicato alla moglie.
Infine il Tufaio passito, ottenuto da uve sauvignon.
Due i vini ottenuti grazie alla spinta creativa di Nicoletta: il Prima Nicchia, uno spumante pas dosè,  metodo ancestrale, ottenuto  da uve di Pinot bianco, e il 6 Gemme, un vino fermo ottenuto da viti storiche di  malvasia puntinata. dove il numero indica le generazioni i vignaioli di famiglia che da fine Ottocento  fanno vino al Tufaio, con l’affinamento che avviene nella grotta tufacea situata sotto la dimora di famiglia.

Continuando  il nostro giro tra i vignaioli Della Fivi, ci siamo imbattuti in Cosmico, un vino ancestrale “senza aggiunta di eccellenza”, come si legge sull’etichetta per non lasciare adito a dubbi. Siamo nell’azienda agricola Casale Certosa, a Santa Palomba, porzione della periferia di Roma che si sente abbandonata dalla Capitale ma proprio per questo ha sviluppato, per contrasto, un orgoglioso senso di appartenenza non solo come comunità sociale e solidale, ma anche come comunità vinicola desiderosa di farsi valere e a trovare spazio tra cantine ed etichette più apparentemente blasonate.

Il risultato, nel caso del Cosmico, è un vino a base di uve trebbiano a cui viene aggiunta una piccola quantità di mosto fresco sempre dello stesso uvaggio.
Imbottigliato e tappato con tappo corona, viene lasciato fermentare in bottiglia per circa 12 mesi. Dopo questa fase dirifermentazione in bottiglia viene effettuata la sboccatura a mano. Si perde una piccola quantità di vino frizzante che viene reintegrata con il vino frizzante stesso. Ritappato con tappo a corona, etichettato e messo in commercio per essere bevuto senza troppe domande.

“In buona sostanza abbiamo ripreso quella che nella tradizione era la Romanella”, spiegano i proprietari della cantina, che si definiscono agricoltori prestati al vino: una delle tante occasioni perse di far evolvere il panorama enoico dei Castelli Romani.

Vulcanici, indipendenti, Bio”, recita lo slogan dell’azienda Trebotti, che fa della biodiversità e della sostenibilità a impatto zero, unitaall’innovazione, il suo fiore all’occhiello. Situata al confine tra Lazio, Umbria e Toscana, l’azienda, alla terza generazione, produce vini di qualità come il Grechetto, il Violone, il Sangiovese e l’Aleatico, vitigni autoctoni del terroir della Tuscia.
Unica eccezione, il vitigno di famiglia, il Manzoni Bianco, creato negli anni Trenta da un membro della famiglia, il professor Luigi Manzoni, pioniere e preside della scuola enologica di Conegliano Veneto. Un fiano in purezza, raccolto a mano da singola vigna, macerato sulle bucce, affinato in cemento e in piccola parte in carati: è il Macchia Scura, uno dei fiori all’occhiellodell’azienda agricola della Cantina del Castello di Torre in Pietra, 135 ettari appena fuori Roma, lungo la via Aurelia, all’interno della zona D.O.C. Roma.
La Cantina si trova all’interno del borgo medievale, a ridosso della torre da cui prende ilnome.
E’ stata realizzata nel 1635 scavando nella cantina di tufo retrostante il Castello. Negli stessi locali, ancora oggi, si trovano i serbatoi in acciaio utilizzati per la fermentazione, vasche in cemento per la conservazione e carati in legno per l’affinamento dei vini più importanti.
I terreni di origine pleistocenica, ricchi di detriti marini, sono in parte franco-sabbiosi (utilizzati per i vini bianchi) e parte franco-argillosi (utilizzati per i vini rossi). Il sistema di allevamento praticato è aGuyot, sia per le uve rosse (Cesanese, Sangiovese, Montepulciano, Merlot e Syrah) che per le bianche (Fiano, Chardonnay, Vermentino, Trebbiano e Malvasia Puntinata).

Michela Nicolais

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