A “Wine&Siena” una verticale de “Il Borro” con Salvatore Ferragamo

“La nostra ambizione? Diventare il primo DOC biologico al mondo”.

Non ha mezze misure Salvatore Ferragamo quando descrive Il Borro Toscana Rosso IGT, il vino più rappresentativo di un terroir come quello del Valdarno.
E’ qui che, insieme a suo padre Ferruccio, a partire dal 1993 ha fatto rivivere la tenuta de Il Borro, al centro di una verticale tenutasi nell’ambito di Wine&Siena, nella splendida cornice del Grand Hotel Continental e alla presenza del “patron” del Merano Wine Festival, Helmut Kocher.  Rocca inespugnabile nel XII secolo, la tenuta de Il Borro  diventa alla metà degli Anni Cinquanta proprietà del Duca Amedeo di Savoia-Aosta, che nel 1993 ne cede la proprietà a Ferruccio Ferragamo, promotore di un maestoso intervento di ripristino e restauro della tenuta che la riporta ai fasti originari.
L’area dove sorge Il Borro, Valdarno di Sopra, è stata designata fin dal 1300 come un’area ottimale per la coltivazione dei vitigni. Così, fin dagli inizi, Ferruccio Ferragamo con il figlio Salvatore ha riportato in vita questa attività.
Dopo decenni di ricerca, studio e sperimentazione, la cantina de Il Borro presenta oggi 12 pregiate etichette, eccellenze premiate da “The Wine Hunter”, di cui 10 biologiche.

Protagonista della degustazione, a cura di Salvatore Ferragamo e della FISAR, è dunque Il Borro Toscana Rosso IGT, un blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah – oggi lo definiremmo “Supertuscany” – frutto di un processo di ricerca iniziato nove anni fa, grazie ad un consorzio di 15 produttori, all’insegna della sostenibilità a 360 gradi.

L’annata 2018, grazie al Merlot come vitigno trainante,  sa di frutta matura e ciliegie, cui si aggiunge la nota vegetale del Cabernet e il pepe nero del Syrah. Al palato dominano la freschezza e l’acidità, insieme ad un tannino campagnolo e ruspante che andrà a maturare.

L’annata 2017 è caratterizzata da una nota vegetale meno marcata e dalla frutta rossa che predomina, mentre la mineralità assume i connotati del borotalco e della cipria. Si sente una nota di borro e l’acidità è a più lento rilascio, mentre la parte tannica è più matura. Grazie alla filosofia aziendale, il dosaggio accurato dei legni fa venire fuori le note tostate di vaniglia che prima non c’erano, così come le spezie dolci: la cannella, i chiodi di garofano, il pepe. Quella del 2017 è stata un’annata difficile, ma l’intervento delle tecnologie a fibra ottica ha permesso di incidere positivamente sul bilanciamento: c’è più Merlot e meno Syrah.

Il bouquet dell’annata 2008, grazie all’apporto del Petit Verdot, è più vegetale. Si tratta di un’ottima annata equilibrata, senza sbavature, per la crescita dei grappoli e degli aromi. Il gusto al palato è all’insegna della scorrevolezza e della grande freschezza acida. La frutta, il sottobosco, il legno, la nota minerale marcata si avvertono nella sapidità in bocca, mentre al naso sale l’aroma di pietra focaia, confettura, tabacco dolce.

Quando si passa all’annata 2004, quello che colpisce è l’aspetto floreale, il sentore di rosa che dà al vino un carattere elegante e pulito, accentuato dalla speziatura dolce conferita da noce moscata, cannella, cacao, fondi di caffè. La complessità e il ventaglio aromatico è molto aperto: un vino rotondo e aromatico, senza tentennamenti, tipico di quella che si può definire un’annata perfetta.

Infine, l’annata 1999: la vivacità del colore e la limpidezza, insieme al pepe, alla vaniglia e alla cannella che arrivano al naso, parlano di un’evoluzione della parte vegetale. La nota finale è di caffè e cacao amaro, insieme alla noce e alla mandorla. Il tannino passa al setoso e la spalla acida è ancora importante. Cinque annate, insomma, che promettono bene per un sogno – ce lo auguriamo – a portata di mano.

Michela Nicolais

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